Mirella Tenderini – Un breve tuffo nel passato
Buongiorno Mirella, ci può parlare un po’ di lei, chi è e di come è diventata una scrittrice, ci può parlare di cosa l’ha portata a voler intraprendere un percorso di questo genere?
Immagino che la montagna abbia avuto un ruolo fondamentale in questo suo percorso oppure la sua passione per la montagna è scollegata da questo percorso.
No, per me la scrittura è stata da sempre un normale mezzo di comunicazione ma prima di scrivere un libro ne ho letti tantissimi su tutti gli argomenti. Ho lavorato per la maggior parte della mia vita sui libri. Prima per una ventina d’anni sui libri d’arte, poi su quelli di montagna dei quali mi occupo ancora.
Come ha iniziato ad andare in montagna?
Io sono nata e cresciuta a Milano, ma da una finestra di casa mia nei giorni di cielo limpido vedevo lontano lontano il Monte Rosa… E poi con i genitori si facevano gite in montagna per raccogliere i narcisi o le castagne, a seconda della stagione. Più tardi ho incominciato a frequentare amici che andavano ad arrampicare sulla Grigna e ho incominciato ad arrampicare anch’io.
Partivamo da Milano alla mattina presto col treno per Lecco che si fermava a Monza dove montavano altri appassionati – fra i quali c’erano anche Bonatti, Oggioni e altri noti alpinisti – e poi salivamo fino ai Piani Resinelli ai piedi della Grigna dove si formavano le cordate e via, su di corsa…
È lì che ho incontrato Luciano Tenderini, che era uno degli alpinisti più forti di quel periodo, è lì che ci siamo sposati per poi spostarci per una decina d’anni a gestire rifugi in diverse parti delle Alpi, ed è lì che abito ancora.
Nel 1992 scrisse “Gary Hemming. Una storia degli anni ’60”, come mai scelse questo grande alpinista americano? Che caratteristiche aveva questo personaggio?
In quel periodo lavoravo a Milano nel campo dell’edizione d’arte ma scrivevo già degli articoli per le riviste di montagna e proprio su quelle riviste lessi della misteriosa morte di Hemming e mi misi in testa di scoprire cos’era successo. incominciai a indagare a destra e a manca.
Io e mio marito andavamo spesso ad arrampicare a Chamonix e iniziai da lì a intervistare persone che lo avevano conosciuto e frequentato.
Uno dei primi fu Desmaison che con Hemming aveva salvato due tedeschi bloccati sulla parete Nord dei Dru. Gentilissimo, mi portò a trovare tutte le persone che avevano conosciuto Gary e mi diede gli indirizzi di Pierre Mazeaud e di Pierre Joffroy, il giornalista che aveva raccontato lo straordinario salvataggio su Paris-Match. Andai a Parigi a intervistarli tutti e due. Entrambi avevano spesso ospitato Gary quando era a Parigi ed era stufo di dormire sotto i ponti, e Joffroy, dopo una serie di trabocchetti che usò per mettermi alla prova di essere una persona seria, mi diede una pesante valigia contenente i diari di Gary, che Gary aveva affidato in custodia a lui.
A quel punto mi sentii obbligata a scrivere un libro su di lui ma non mi sentivo di farlo senza conoscere il resto della sua vita. Fu così che cominciai a cercare i suoi amici e i suoi numerosi amori e andai a Grenoble a visitare Claude, la madre di suo figlio che mi accolse amichevolmente e mi incoraggiò nel mio proposito. Poi, approfittando dei viaggi che mio marito ed io ci concedevano per scalare montagne in giro per il mondo (dal versante meno difficile se eravamo solo noi due…) cercai e trovai molti amici di Gary in Colorado e nello Yosemite.
Tornai poi da sola in America più volte per incontrare sua madre a San Diego in California, e per vedere nel Wyoming le prime montagne che Gary aveva scalato e il Lago Jenny dove era morto. Anche lì venni accolta con simpatia e riuscii a parlare con i suoi compagni di scalate e anche con persone che erano lì con lui la sera della sua morte misteriosa…. Solo dopo essere entrata di forza nella sua vita mi sono sentita di scrivere il libro, che poi venne pubblicato in più lingue.
Gary Hemming aveva una forte personalità e si faceva amare da molti, ed era un alpinista bravissimo come tanti altri bravissimi alpinisti del suo tempo. Personalmente però credo che se non ci fosse stato un libro su di lui sarebbe già stato dimenticato da un mucchio d’anni.
Gary Hemming non è l’unico alpinista di fama e di rilievo del passato, sappiamo che ha avuto dei bellissimi rapporti con Walter Bonatti e Riccardo Cassin, come li ha conosciuti e che rapporto si era instaurato nei vostri confronti?
È vero che Gary non è era l’unico alpinista di fama del suo tempo, e proprio grazie a lui ho stretto amicizia con i più grandi alpinisti americani di quell’epoca che a loro volta mi hanno presentato altri famosi alpinisti da Royal Robbins a Layton Kor, e molti altri che sono venuti a trovarmi a casa nostra e a scalare le vie difficili della Grigna con mio marito.
Alcuni di loro (Allen Steck e anche Tom Frost e Jim Bridwell con la loro famiglia) venivano ogni anno e si fermavano un po’ di giorni. Credo che casa mia sia la casa privata che ha ospitato il maggior numero di alpinisti, semplici innamorati della montagna e scalatori famosi, da tutto il mondo…Gli amici alpinisti più cari sono quelli che hanno frequentato la nostra casa – e noi abbiamo frequentato la loro – fin da tempi lontani.
Il ricordo di Riccardo:
Riccardo Cassin è sempre stato un angelo custode per noi, uno dei non molti alpinisti lecchesi che aveva riconosciuto e accolto Luciano – mio marito – per le sue qualità e bravura.Noi eravamo “i milanesi” e benché abbiamo stretto amicizia con diversi bravissimi scalatori lecchesi non ci siamo mai sentiti completamente a nostro agio nel “loro territorio” ai Piani Resinelli.
Ma a casa di Riccardo e Irma, sua moglie, ci siamo sempre sentiti in famiglia e io andavo sempre insieme a loro a tutti i filmfestival, a Trento e oltre confine, e da quando non ci sono più sento la loro mancanza. La mancanza di Riccardo Cassin è sentita per certo da intere generazioni di alpinisti lecchesi, specialmente quelli che hanno partecipato a imprese avventurose con lui, capo autorevole ma anche padre affettuoso.
Cassin era veramente incredibile! Un alpinista che a quasi ottant’anni rifà quella che cinquant’anni prima era stata la prima ascensione della Nord del Badile! Poi incontra un documentarista, Fulvio Mariani, che gli dice “ma dài, perché non me lo hai detto che ti avrei filmato” e lui cosa fa? La rifà! Torna ancora a scalare una delle più difficili vie delle Alpi! Ma siccome questa volta non scende in arrampicata ma con un elicottero, non vuole che si dica che l’ha fatta due volte perché per lui – e a ragione – la discesa è una parte della scalata.
Il ricordo di Walter:
Anche Walter Bonatti da noi è sempre stato di casa, e quando era con me e incontravamo qualcuno che non mi aveva mai visto diceva che ci conoscevamo fin da quando eravamo piccoli. Il che non era vero, perché ci siamo conosciuti al tempo del treno domenicale e poi ci sparpagliavamo in coppie per arrampicare e ci ritrovavamo la sera in rifugio attorno a un lungo tavolo a passarci di mano una marmitta di vino per bere un sorso ciascuno… Lui poi spesso si allontanava e saliva da qualche parte per bivaccare all’aperto.
Diceva che era per allenarsi all’alta montagna, ma ho sempre pensato che fosse un bisogno del lato selvatico del suo essere. Con lui non ci siamo visti per un una decina d’anni quando io e Luciano facevamo i custodi di rifugi qua e là delle Alpi, ma poi è sempre stato molto presente nella nostra vita – e noi nella sua. Negli anni tra i Settanta e gli Ottanta mi sono occupata dei suoi libri all’estero, e l’ho trascinato (a fatica devo dire…) in Francia e in Inghilterra a presentarli.Naturalmente lui parlava in italiano e io lo traducevo ed era sempre un successo strepitoso. In una di quelle occasioni sono riuscita a fargli fare pace con Chris Bonington e Don Whillans con i quali aveva rancore perché avevano scalato il Pilone Centrale del Frêney dove poche settimane prima aveva perso la vita Andrea Oggioni, suo caro amico.
Walter stava scalando il pilone con lui e con Pierre Mazeaud e suoi tre compagni. Bloccati per tre giorni da una violenta bufera avevano deciso di scendere nella tormenta ma erano stremati e Oggioni e i tre compagni di Mazeaud non ce l’avevano fatta…
Bonatti è sempre stato vicino a noi e gli piaceva molto venire a casa nostra quando c’erano anche i nostri figli e i loro amici. Nonostante il suo rifiuto per la famiglia tradizionale che trapela da diversi suoi scritti, si trovava bene con la nostra famiglia accogliente. Con Luciano lui andava molto d’accordo ma quando veniva per arrampicare “con anche le ragazze” (io e la sua compagna) litigavano perché lui ignorava l’imbragatura e a Rossana legava la corda in vita, cosa che per Luciano che era anche istruttore nazionale di arrampicata oltre che guida alpina era un delitto capitale. Che lui si legasse la corda in vita vabbè, ma a Rossana no! Che orrore… Ma ci siamo sempre divertiti ugualmente un mondo (e io nell’imbragatura m’infilavo prima di arrivare sotto la parete…).
Questi Alpinisti con la A maiuscola cosa trasmettevano alle persone quando raccontavano le loro avventure ed ascese.
Non saprei rispondere. A noi raccontavano attorno a un tavolo amichevolmente ed era come quando noi, attorno a quel tavolo raccontavamo cose meno gloriose a loro… So che quando parlavano in pubblico battevano le mani per minuti di seguito, ma lo fanno per tutti – non saprei proprio…
Secondo lei quale sarebbe stata la visione di questi Alpinisti classici nell’era moderna, in cui l’alpinismo sta prendendo una piega completamente differente da quella che c’era all’epoca.
Questa è proprio una bella domanda che mi fa pensare…
Loro, considerati i loro temperamenti diversi, avrebbero avuto sicuramente idee diversissime. Riccardo Cassin è sempre stato aperto ai cambiamenti, incoraggiava sempre i giovani e approvava ogni novità. Negli anni 50 e 60 nel suo negozio di articoli sportivi ai Resinelli – in seguito portato a Lecco e gestito da un suo figlio – ha sempre raccolto favorevolmente tutti i cambiamenti agli attrezzi per l’arrampicata, che sperimentava lui stesso per primo, mentre Walter Bonatti, sognatore, viveva in un mondo tutto suo dove niente doveva cambiare.
All’apice della sua carriera abbandonò ufficialmente la montagna, ma quel gesto fu proprio per mantenere la montagna nascosta, solo per se stesso… Chi crede che dopo la solitaria al Cervino Bonatti non abbia più arrampicato si sbaglia di grosso. Bonatti ha continuato a farlo, ma solo con pochi amici discreti e solo come lo aveva sempre fatto, incurante dei cambiamenti intervenuti.
Ma la differenza dell’alpinismo attuale da quello che ormai possiamo classificare come classico non consiste nel perfezionamento degli attrezzi e della tecnica dell’arrampicata.
Come in tutti gli sport anche nell’alpinismo ha una grossa parte la competizione, che c’è sempre stata fin dalle prime ascensioni; ma in un mondo dove ormai sono state salite tutte o quasi tutte le montagne accessibili più che la corsa a una prima ascensione conta il raggiungimento di tutti i possibili primati: i 14 Ottomila, le prime in solitaria, in inverno, eccetera, ma si ha l’impressione che c’entri sempre meno la montagna, per alta che sia…
C’è una montagna a cui è legata particolarmente? Se si, come mai?
La mia piccola Grigna, naturalmente.
Ha un libro di montagna che consiglierebbe?
non saprei dire.. semmai più di uno… sono trent’anni che mi occupo di libri di alpinismo ed è davvero difficile sceglierne uno ( o anche due o tre o ) da consigliare..Salterei la domanda.
Quale è il ricordo più bello che ha in montagna o collegato a questo mondo?
anche qui non saprei cosa dire – nella montagna sono ancora dentro in qualche modo e sarebbe come se mi chiedessero “qual’è il ricordo più bello che hai della tua vita” …
- Con Riccardo e moglie al Passo della Novena durante uno dei nostri viaggi di ritorno da qualche filmfestival. C’è anche Manolo che era con noi e la foto l’ha fatta, se ben ricordo, la moglie di Manolo.
- Walter con tutta la banda dei miei figli e amici un pomeriggio qualsiasi a casa nostra. La foto è di Roberto Serafin che passava ogni tanto da noi.
- A Buxton in Inghilterra dove ho trascinato Walter a fare una conferenza (che io gli ho tradotto). La foto è con Walter, me, Wanda Rutkiewicz, Pat Ament, Charlie Fowler e Bill Birkett
- Walter con Bonington e il mio naso in basso a destra
- Con Walter a Chamonix
- La copertina “Gary Hemming – Il ribelle delle cime”