Hervè Barmasse: La mia vita tra 0 e 8000
Sabato sera ho avuto il piacere e l’onore di poter partecipare alla serata organizzata dal Cai di Bovegno, Val Trompia (BS), che aveva come ospite un alpinista di tutto rispetto, ossia Hervè Barmasse.
È stata una serata veramente sorprendente grazie alle abilità comunicative di Hervè che è riuscito a far interagire il pubblico con le sue esperienze.
Dando così alla gente la possibilità di toccare con l’immaginazione le sue avventure, ma rimanendo concreto toccando aspetti che tutte le persone vivono nella vita quotidiana e non solo gli alpinisti.
La serata era intitolata “La mia vita tra 0 a 8000” e ha iniziato dicendo che per lui, quando era piccolo, scalare un 8000 sarebbe stato come conquistare il Sacro Graal e lo immaginava come una grande gioia.
Successivamente a questa introduzione ha voluto parlare delle sue esperienze che ha vissuto in montagna, sottolineando che lui è stato molto fortunato, se è riuscito a essere quello che è diventato.
Ovviamente il luogo (Valtournenche, Valle d’Aosta) e la famiglia (4 generazioni di alpinisti e guide alpine) da proviene sicuramente sono stati un punto a favore.
Ma durante la serata ha sottolineato che non sono fondamentali le circostanze, ma quello che conta nella vita è avere un obbiettivo.
infatti, ha detto che sarebbe potuto essere un macellaio, uno spazzino o un operaio, ma quello che conta è che bisogna avere un sogno.
Ma capiamo meglio chi è questo atleta, Hervè Barmasse nasce il 21 Dicembre 1977, nel giorno più corto dell’anno, in uno di quelli più freddi, dove solitamente nevica e quindi è proprio lui a ritenere di essere attratto naturalmente a quel mondo ed è per quello che è diventato un alpinista.
Infatti, fin da giovane è stato legato alla montagna, come promessa dello sci, era contento e credeva che già da adolescente aveva già trovato la sua strada, ma tutto finisce quando a 120 km/h finisce contro un palo di ferro.
Dopo questo infortunio ha smesso di sorridere, i medici erano insicuri sul fatto che potesse tornare a camminare ed è stato un bel colpo per un giovane che sognava di vincere le olimpiadi.
Suo padre, guida alpina del Cervino, lo guardò e gli disse: << Rimettiti, un giorno, quando ti sarai ripreso, ti porto sul Cervino>>.
Beh, Hervè era sul letto dell’ospedale, era un periodo difficile, ma riuscì a capire che il Cervino sarebbe diventato il suo nuovo Sogno e intuì che la vita è come una medaglia, ha due facce, una lucida e una opaca, sta a noi decidere che parte guardare.
Hervè quando riuscì ad arrivare sulla vetta del Cervino, solo sedicenne, toccò quota 4478 m, dove è situata quella croce che molti alpinisti ambiscono a toccare, ed è qui che lui ha trovato la gioia, la felicità e non ha potuto fare altro che abbracciarla.
Successivamente ha parlato dell’importanza della cordata, non solo nella composizione fisica di un gruppo di due o più alpinisti impegnati nel compiere una scalata legati al medesimo pezzo di nylon.
Ma ha voluto parlare di quando era impegnato con i suoi due compagni e Giovanni, uno dei due soci, ha subito un trauma alle mani, praticamente erano distrutte e la progressione della scalata era impossibile e quindi decidono di ritirarsi.
In questi casi l’amicizia è tutto, sta alla base di una scalata e senza quella non si va da nessuna parte, infatti è grazie ad essa che ti passano anche le cose tristi.
Basti pensare al simpatico esempio che ha fatto Hervè, Giovanni ha le mani distrutte e ci impiegarono 2 giorni a scendere dalla parete e ad un certo punto il terzo compagno ha detto :<< Bene, Giovanni ha le mani rotte, se deve fare pipì il pene lo tieni in mano tu Hervè. >>
Con questo esempio l’alpinista ci tiene a sottolineare che scalare è un’attività dura e severa, ma non bisogna prenderla troppo sul serio e con gli amici si può fare.
Successivamente ha voluto parlare concretamente del concetto di fortuna, perché per fare una scalata o per poter tornare sani e salvi a casa, bisogna che la montagna sia in condizioni ottimali, che l’alpinista sia fisicamente pronto e che tu sia in grado di azzardare certe cose, alzando ogni tanto l’asticella, non sempre perché se si alza sempre questa maledetta asticella si fa una brutta fine.
Per dire che la montagna non è assassina, la montagna è quella che è, è natura e l’uomo non può permettersi di controllarla.
Dopo di che, Hervè ha lanciato una provocazione, “Perché andiamo in montagna?”, una domanda che chiunque alpinista si chiede almeno una volta nella vita e la risposta è stata sbalorditiva, la gente secondo lui va in montagna perché la montagna è bella e l’uomo è attratto dalla bellezza e riesce ad affascinarlo.
L’alpinista ha definito il Cervino è come un fratello maggiore, e ha ammesso che soprattutto quando ha aperto la sua via in solitaria ci ha dialogato con la montagna e non solo in quell’occasione, perché quando vai in montagna non sei mai solo.
Ed è proprio grazie a questa via che ha capito il concetto di possibile o impossibile, utilizzando la paura come metodo per fare un passo indietro in montagna, specificando che la paura è una cosa giusta, invece il panico è sbagliato e ti porta a fare una scelta errate.
Successivamente ha terminato la serata dicendo:<< Che ognuno di noi è l’alpinista più forte al mondo se rispetta la montagna. >>